(di Martina Censi*) In seguito alla recrudescenza della repressione attuata dal regime di Damasco nei confronti di ampi strati della popolazione in rivolta, risulta difficile comprendere la posizione di molti intellettuali rispetto alla crisi siriana. Ne è un esempio lo scultore siriano Mustafa Ali (foto), intervistato qualche giorno fa della scrittrice e giornalista Dima Wannus per il quotidiano libanese al-Safir.
Dalle sculture di argilla dell’ultima mostra dell’artista, l’attenzione si sposta quasi immediatamente sull’attualità politica e, in particolare, sulla scelta del silenzio adottata – secondo le parole di Mustafa Ali – “da una parte consistente del popolo siriano”.
Dima Wannus cerca di chiarire il valore da dare a questo silenzio. Se intenderlo cioè come una forma di astensionismo o piuttosto come una presa di distanza nei confronti delle proteste in atto.
La risposta dell’artista rivela però poco della sua posizione reale, tutta imperniata sui concetti di “libertà”, “diritto”, “pace”, diventate ormai parole svuotate del loro significato autentico che descrivono ideali facilmente strumentalizzati da ciascuna delle parti coinvolte. Lo stesso raìs Bashar al Asad vi ha fatto appello in occasione dei suoi discorsi e interviste TV.
L’affermazione “non credo nella rivoluzione a meno che non ci conduca in avanti” continua a non fare chiarezza sulla posizione dell’intellettuale, così come risulta opaca la sua distinzione tra le rivendicazioni avanzate dalla gente e il loro sfruttamento per arrivare a “una posizione più pericolosa” dell’attuale.
Precisare poi che, nonostante vi siano delle rivendicazioni giuste, esse siano strumentalizzate dall’esterno, avalla in un certo senso la teoria del complotto e delle ingerenze straniere che tanta parte hanno nel pensiero dei sostenitori del regime.
Nel momento in cui l’intervistatrice cerca di stringere il cerchio e domanda a Mustafa Ali cosa pensa degli amici intellettuali che hanno scelto di allontanarsi da lui proprio per questo suo silenzio, l’artista siriano attribuisce questa presa di distanza alla logica confessionale. Questa caratterizza, a suo avviso, la società siriana, paragonandola in questo a quella libanese.
La maggior parte del popolo siriano, tra cui la corrente islamica “moderata” – continua l’artista – ha scelto il silenzio come via di pacificazione per evitare la “rovina” e la “distruzione”, entrambi termini-chiave della propaganda del regime.
Per Mustafa Ali, è proprio la “percentuale di siriani non politicizzati” che potrebbe realizzare le rivendicazioni avanzate dall'”opposizione”. E tuttavia l’unico modo per superare l’attuale situazione di impasse è adottare la cosiddetta “terza via”, ovvero la via della pace.
L’obiettivo di questa terza via non deve essere puramente politico, ma “nazionale” e “umano”. Ali insiste sulla necessità di collaborare con la corrente islamica “moderata” per riuscire a creare una società eterogenea che rispetti diverse opinioni e confessioni pur mantenendo l’unità nazionale.
Questa terza via dovrebbe essere in grado di stabilire il dialogo tra tutte le parti coinvolte che lo scultore individua nel regime, nell’opposizione, nella gente comune e nella corrente islamica moderata. Nonostante il romanticismo di questa visione di dialogo e pace, risultano non chiarite le modalità pratiche della sua attuazione.
Mustafa Ali afferma che l’arte può svolgere un ruolo importante per porre fine alla violenza e alla distruzione e conclude con un previsione sul futuro del regime che pensa non resterà nella sua forma attuale, ma che cambierà. Il cambiamento dovrà avvenire per mezzo di riforme e del pluralismo politico, evitando un ribaltamento radicale e improvviso dello status quo, afferma.
“Io sono ottimista”, conclude Mustafa Ali.
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* Martina Censi, studentessa di dottorato all’Università di Venezia Ca’ Foscari e all’Inalco di Parigi. Si trova attualmente a Beirut.